martedì 20 agosto 2019

38


38 è il numero di mia madre. 

38 è la piccola targhetta bianca e rossa che devo cucire su ogni suo vestito come faceva lei, con i miei, quando mi spediva nelle odiate colonie estive dove tutto era rigorosamente bianco e blu, ma le etichette no, quelle anche allora erano bianche e rosse.

38 non è solo un numero, è il suo segno di riconoscimento in un posto dove le persone, giorno dopo giorno, anno dopo anno, pasto dopo pasto, disegno dopo disegno, diventano tristi, arrese, tutte uguali.
I vecchi nelle case di riposo perdono identità e in giornate noiose e lunghissime scandite da ritmi ospedalieri, il numero che è stato loro assegnato al check-in è la sola identità che li accompagna. Una piccola bandiera, una minuscola carta d’identità in un terreno asettico e spersonalizzato.

Ingegneri, contadini, insegnanti, impiegati, casalinghe, ballerine, sono ruoli che appartengono ad un passato sepolto sotto un numero imprecisato di anni. Una volta entrati in un ricovero per anziani non si è altro che piccoli numeri, annotazioni di rito su un brogliaccio alla reception, igiene personale, farmaci e pasti somministrati ad ore precise.

I vestiti della signora 38 si perdono sempre nelle montagne di biancheria di cui è invasa la lavanderia. E’ una lotta contro il tempo, ti distrai un attimo e la maglietta sparisce divorata dalla lavatrice industriale che prima o poi la sputerà fuori. Se sei fortunato potrai ritrovarla ai piani alti in una stanzetta arredata con scaffali carichi di abiti dimenticati e persi: camice da notte, mutande, calzini, pantaloni, magliette sgualcite, maglioni sbiaditi che raccontano di un tempo che scorre inesorabile, anonimo e privo di ambizioni o vanità.

Se non faccio in tempo a mettere la piccola targhetta su un nuovo capo, ecco che l’energica boss della lavanderia, una donna minuta che non tollera interferenze durante il suo lavoro, appone per me il numero mancante e lo fa con rabbia. Non la vedo e non me lo dice, ma interpreto il suo disappunto dal modo in cui cuce l’etichetta sui vestiti di mia madre: storta, malmessa, con grossi punti a zig zag, incurante se il capo sia di seta, di lana o di ruvido lino. 
38 è il numero che le è stato assegnato e 38 la paziente i cui parenti sono così distratti da dimenticare di cucire su ogni minuscolo capo il prezioso sigillo.

38. Un 8 e un 3. 8+3=11. Mio padre era nato il giorno 11 di un mese di luglio del secolo scorso. E' morto, abbandonandoci troppo presto, il 1 gennaio di un anno lontano. 1. 11. Chissà se la osserva e vigila su di lei. Vorrei tanto che la stringesse forte da dietro le spalle, vorrei che il suo abbraccio le desse conforto, vorrei che fosse il suo 11 protettore.
Ci ostiniamo a pensare che la morte non sia la fine di tutto, ma l’inizio in una nuova dimensione. Siamo bambini incerti. Abbiamo bisogno di magia, di spalancare gli occhi di fronte alla meraviglia, io per prima che cerco nei numeri un segno del destino, un appiglio a cui aggrapparmi quando vado da lei e invece di sorriderle, rassicurarla, accarezzarla, massaggiarla e farle coraggio, vorrei solo mettermi a piangere seduta in un angolo delle grandi scale in marmo della Casa di Riposo.

Sono i momenti in cui mi chiedo perché la vita, in ogni sua sfaccettatura, sia sempre tanto stronza da insinuarsi senza preavviso negli anfratti più nascosti della mia sensibilità, per poi esplodermi dentro come una bomba e schiantarmi il cuore in tanti piccoli pezzi che faccio sempre più fatica a ricomporre. Vivo il mio dolore a frammenti, in gocce sparse qua e là, un puzzle di ricordi, un veleno amaro di tristezza e malinconie.

I numeri non mi consolano. I numeri non mi restituiscono la mamma che conoscevo e non restituiscono a lei la sua vera essenza, il carattere forte e spesso insopportabile che la contraddistingueva. Prima, se contrariata, urlava di rabbia, si accendeva, diventava paonazza; adesso piange, mi guarda con occhi smarriti chiedendo un silenzioso aiuto ed io, oltre a non saper cosa fare, non so quale tra le due madri sia la migliore visto che detestavo l’aggressività di ieri ma non amo neppure la mitezza innaturale e fragile di oggi. 
I numeri tacciono, non mi parlano. Sono solo convenzioni, invenzioni, prigioni. 

La mamma ha un numero, il 38, lei che ha sempre odiato la matematica, le etichette, le regole.
Mia mamma <<E’ >> un numero e pur riluttante lo accetta, lei che in passato non si è mai arresa e ha discusso e litigato con chiunque le intralciasse la strada, la costringesse, le impedisse di vivere la sua profonda anarchia. 
Le piace che io trascorra accanto a lei il tempo necessario per cucire le micro etichette bianche e rosse sulle sue magliette e sui pantaloni. E' una nostra nuova intimità. Arrivo nella sua stanza con ago, filo, forbici e via con il rito. Io cucio, parlo, lei ascolta. 
Come potrebbe fare una canzone? 38 sono le pene che affliggono il mio cuooooore quando sto con lei; 38 quelle che prooooovo quando la lascio e me ne vadooooo.

38+38 = 76; 7+6 = 13 Ha senso? Significa qualcosa? No, se non che alla fine della vita, non importa chi siamo stati, cosa siamo stati, chi abbiamo amato e come lo abbiamo fatto. Se perdiamo autonomia diventiamo soggetti più o meno ingombranti in balia di regole che mai ci saremmo sognati di accettare. E ci accontentiamo, in attesa di una morte che ci liberi dalle tante, impreviste, umiliazioni.

Mia mamma, la signora 38, detesta quel che sta vivendo ma è il solo modo di vivere che ha: sedia e rotelle, letto con le sbarre per evitare che cada, due chiacchiere in sala da pranzo, cure mediche, pannoloni, tv.
38 sull’armadio, 38 su una scatola del cambio stagionale, 38 sui vestiti e niente, proprio niente di più.








Alle donne vittime di mariti violenti posso solo dire: SALVATEVI!

Penso che ogni giorno dell'anno dovremmo ricordare le donne che subiscono violenza. Da figlia di una donna che di botte ne ha ...