lunedì 10 marzo 2014

Una tenerezza infinita

Il momento è arrivato.
Oggi hai chiuso gli occhi per sempre. 
Ieri nel torpore delle cure palliative ogni tanto alzavi lo sguardo e il nero delle tue pupille riempiva la stanza carico della tua presenza-assenza. 
Volevi esserci per noi, ci provavi, ma il tuo spirito si stava preparando all'ultimo viaggio prendendo il sopravvento sui tuoi desideri, così umani, così veri.
Il volto scavato, diverso dalle guance tornite e rosee che conoscevo bene. I capelli radi e una sofferenza inaudita stampata in faccia, scritta in ogni cellula del tuo corpo divenuto d'un tratto esile: spalle d'uccellino, dita fragili, denti sottili, occhiaie scure, gambe scarne. Vedevo il tuo cuore battere sotto pelle. Avrei potuto accarezzarlo. 
Sentivo nel respiro affannoso, a tratti interrotto, tutta la fatica dell'esistere sotto il peso di metastasi invadenti e crudeli. 
Sapevo che eri ad un soffio dalla fine. Ti sei agitata. Forse hai percepito la mia presenza e per un attimo hai alzato la testa dal cuscino in quella tua stanza grande e calda con le persiane socchiuse che tua figlia aveva abbassato per non farti aggredire dalla vita luminosa che straripava fuori, nel cielo, nel canto degli uccelli, nelle piante fiorite sulla terrazza.
Per calmarti ti ho accarezzato la fronte. Laura ha fatto altrettanto. Abbiamo tenuto le nostre mani su di te, unite dal desiderio amorevole di darti pace, conforto. Non ti avrei lasciata mai più. Ti ho baciato la fronte. Ho provato una commozione senza fine.
Prima di arrivare al San Martino, lungo la strada, avevo visto un gabbiano feroce divorare un piccione su un muretto scrostato. Bianco e nero, contorni nitidi stagliati contro il cielo. Scena raccapricciante. Presagio di morte, quella morte che tanta paura mi ha fatto sin da piccolina.
Grazie a te, ieri, ho finalmente capito che di sorella morte non posso e non devo aver paura. Restare accanto ad una persona cara che sta per lasciare il corpo non lascia disarmati, ma ci avvicina alla parte più intima di noi, al nostro coraggio di esseri umani, al senso profondo della vita. 
La tua fragilità mi ha resa forte e mi ha suscitato una tenerezza infinita, insieme al desiderio di proteggerti. Non ho provato vuoto, non ho sentito freddo. Al contrario: la mia anima si è riempita, fino a straripare, di un miele caldo di compassione, dolore, lacrime color dell'ambra.
Sei stata brava a sopportare la “tua croce”, come dicevi tu. Sei stata forte a reggere il dolore rinunciando alla morfina fino a quando hai potuto. 
Sei stata saggia a scegliere l'Hospice per il tuo ultimo pezzo di strada, consapevole e lucida in ogni istante. Lo so, ogni tanto avevi paura, ma parlarne ti aiutava ad esorcizzare la prova estrema. 
Qualche giorno fa hai telefonato per salutarmi perché sentivi di essere arrivata alla fine. "Sto morendo" mi hai detto con un filo di fiato.
Grazie per averlo fatto.
Grazie per avermi insegnato la bellezza e la serenità nel dolore.
Grazie per avermi coccolata in molti momenti della vita.
Grazie per avermi detto, l'ultima volta che ci siamo parlate camminando sottobraccio nel corridoio dell'ospedale, che per te ero una seconda figlia.
Tu, per me, una seconda mamma. La sola zia che ho veramente amato.
Ti porterò nel cuore. 
Restami vicina e perdonami per le Morositas. 
Te le ho portate troppo tardi e sono rimaste nella mia borsa.
Le conserverò per te.



sabato 8 marzo 2014

Corriamo coi lupi, coltiviamo le mimose del cuore


Ho lottato, manifestato, provato sentimenti di solidarietà ed empatia. 
Ho creduto nelle Donne, nell'eguaglianza, nel diritto ad essere riconosciute e a riconoscerci. 
Sentivo le Donne sorelle. 
Ho manifestato fuori dalle fabbriche.
Ho partecipato a collettivi.
Ho gridato slogan sulla riappropriazione del corpo.
Ho affrontato la trincea dei posti di lavoro per farmi riconoscere come "giornalista" e non come Donna che scriveva per hobby. 
Sono stata discriminata in ambienti dove il  99% erano uomini, per lo più pettegoli e maldicenti. Con dispiacere, in quegli stessi ambienti, non ho mai incontrato la solidarietà delle altre Donne che, al contrario di me, sgomitavano come matte, riuscendo dove io fallivo.
Sono passati decenni e la società si è fatta liquida, come le relazioni, la cultura, l'informazione, i rapporti umani e familiari. 
Molte Donne, grazie al ventennio targato mister B, sono entrate in politica attraverso il solito iter, vecchio quanto il mondo, gradito e pilotato dai maschi dominanti.  
Altre sono diventate famose in televisione per la sola virtù dei loro corpi avvenenti, offerti in pasto dal mattino alla sera a passivi divoratori d'immagini, vuoti come i programmi che le ospitano. Per questi "successi" non ho provato rabbia, né gelosia, solo nausea ed imbarazzo.
Nel frattempo sono cresciuta, quasi invecchiata e oggi, a sentir ancora parlare di "quote rosa", "parità di genere" e simili sciocchezze da riserva indiana mi viene da piangere per il fallimento di tutti gli ideali che mi facevano sentire Donna tra le Donne, gioiosa portatrice di sogni gialli e profumati come mimose.
Quante e quante volte, credendoci fino al midollo, ho recitato in poesie e spettacoli "femministi" sulla discriminazione, sulla violenza, sulla sudditanza psicologica, peggiore di quella fisica! Parole ed impegno autentici che riecheggiano lontane ed oggi suonano vuote, non perché i problemi siano mutati o perché io abbia mollato la presa rivolgendomi ad altri ideali, ma perché le Donne sono cambiate, assorbite anch'esse nel sistema di non valori, svuotate di senso e specificità. 
La giornata della Donna negli ultimi anni è diventata la festa delle pizzerie, dei tristi spogliarelli maschili, delle minigonne in lurex, delle ultra sessantenni che sudano col trucco colato ballando sul cubo, dello squallore di serate organizzate per una Metà del Cielo che non riconosco e non mi riconosce.
Oggi, 8 marzo 2014,  sono più che mai convinta che i valori delle persone (umani, professionali, spirituali) siano da ricercarsi nella Qualità e non nel Genere. Il Genere ha fallito. 
Non siamo tutte in gamba.
Non abbiamo una marcia in più solo perché mettiamo al mondo figli (anche perché poi bisogna saperli crescere e bene)  
Non siamo tutte belle dentro e fuori. 
Non siamo tutte oneste.
Non siamo tutte dotate d'intuito e sensibilità.
Inoltre abbiamo imitato i maschi assumendone gli aspetti peggiori. Le teenager parlano come scaricatori di porto e diffondono selfies pornografici sui telefonini dei coetanei. Fanno sesso a scuola o in discoteca e stabiliscono la data entro la quale non essere più vergini per non fare la parte delle "sfigate". Alcune si prostituiscono per un paio di scarpe firmate o una ricarica di cellulare. 
Ci riconosciamo in queste ragazze? Immagino di no, ma prima di gridare allo scandalo dovremmo chiederci di chi sono figlie e interrogarci su cosa abbiamo perso per strada per ridurle e per ridurci così: distratte viaggiatrici in un mare di vacuità.
In una società profondamente sessista occorre ancora oggi lottare per il riconoscimento di una vera parità sociale, ma non penso si debba farlo comportandoci da uomini squallidi. 
In questo terzo Millennio, la sola lotta che ritengo valga la pena di essere combattuta consiste nel cercare di essere soprattutto persone migliori, con una cifra umana qualitativamente elevata, data da una militanza costante nella ricerca del Sé e della Bellezza, quella vera, non quella di cui tanto si parla di questi tempi e a sproposito. 
Sono convinta che solo le Donne che inizieranno a "correre coi lupi" segneranno il cammino verso una vera evoluzione. Natura selvaggia, ascolto profondo, verità, giustizia, amore per la natura e per i cuccioli, memoria del passato e rispetto degli antenati saranno il solo lasciapassare per un'autentica rinascita.  



"La donna selvaggia porta tutto ciò di cui una donna ha bisogno per essere e sapere. Porta il medicamento per tutto. Porta storie e sogni e parole e canzoni e segni e simboli. Riunirsi alla natura selvaggia significa fissare il territorio, trovare il proprio branco, stare con sicurezza e orgoglio nel proprio corpo, parlare e agire per proprio conto, in prima persona, rifarsi ai poteri femminili innati dell’intuito e della percezione, riprendere i propri cicli. 

La donna selvaggia è intuito, veggenza, colei che sa ascoltare. Lei è idee, sentimenti, impulsi, memoria. E’ colei da cui andiamo a casa. E’ quello che ci fa andare avanti quando pensiamo di essere finite. Lascia impronte ovunque ci sia una donna che è terreno fertile. Vive in un mondo lontano che a forza si apre un varco verso il nostro mondo".
Donne che corrono coi lupi – Clarissa Pinkola Estés

Alle donne vittime di mariti violenti posso solo dire: SALVATEVI!

Penso che ogni giorno dell'anno dovremmo ricordare le donne che subiscono violenza. Da figlia di una donna che di botte ne ha ...