martedì 24 marzo 2015

Scuola, le vacanze estive nel mirino di Poletti: "Tre mesi sono troppi". Lettera aperta al ministro del Lavoro




Ministro Poletti, 


le vacanze estive sono il sacro momento della vita degli studenti in cui si ha diritto all'ozio, alla noia, al lavoretto volontario e occasionale, a coltivare i propri hobby. 
Io d'estate leggevo un libro al giorno (dall'Università in poi non ho mai più avuto tempo di farlo), pulivo la casa, mi occupavo a tempo pieno di mio fratello e quando avevo la fortuna di trascorrere con gli zii un mese in campeggio al mare o in montagna, come Heidi, assaporavo la noia e la natura. 
Ho imparato molto di me in termini di pensieri e sentimenti in quelle interminabili estati lontana da casa. Se pioveva si giocava, si chiacchierava, si ascoltavano canzoni. Ho riempito (e custodisco ancora) quaderni e quaderni dei miei giorni di ragazza: cotte, delusioni, sogni, disegni, collage, testi di Dylan, De Andrè, poesie di Ginsberg, note di Fernanda Pivano. 
Quel "buon tempo", quel lusso sfrenato di sprecarlo, non è più tornato, ma ogni istante è impresso nel mio cuore insieme ai volti, alle voci degli amici e alle pagine dei libri di allora: artistiche incisioni sulla cassa di un orologio antico.
Probabilmente, quando la demenza senile avrà definitivamente atrofizzato le mie sinapsi, parlerò a chiunque di quei giorni lenti e di quando, in campeggio, mi alzavo all'alba mentre tutte le roulotte erano ancora ghermite da Morfeo, per poter fare da sola la prima nuotata del mattino. Io, il cielo terso e i gabbiani. 
E poi c'erano le passeggiate in montagna con una cugina più grande alla ricerca di funghi e rifugi impervi dove trovavamo sempre qualcosa da mangiare lasciato lì dagli alpinisti in transito: un tozzo di pane, un formaggio stantio, un po' di miele cristallizzato. E c'erano le mucche che a fine agosto, in Svizzera, scendevano dagli alpeggi. Con gli altri ragazzini facevo chilometri per accompagnarle a valle nelle rispettive stalle. 
Tutto il francese che so, caro ministro, non l'ho imparato facendo uno stage obbligatorio imposto da istituzioni mal funzionanti, ma camminando a lato di vezzose mucche coi fiori in testa che profumavano di fieno e giocando a nascondino insieme a coetanei di altra lingua e cultura, tra prati verdi e boschi incantati. 
Certo, lì c'era la magia dei luoghi, ma ho imparato molto anche da situazioni meno felici.
Estate. Periferia di Torino. Non me lo imponeva nessuno, ma andavo quasi tutti i giorni a trovare una mia nonna anziana e sola per aiutarla a fare il bagno, la spesa, rinvasare i gerani, sistemare le sue immancabili cassette di mele delizie, fare due chiacchiere. 
Piccoli gesti, grandi insegnamenti in un tempo regalato.

Cordialità



Giorno d'estate, Francesco Guccini

domenica 22 marzo 2015

Café Jerusalem, uno spettacolo da non perdere!

Il grande potere evocativo del teatro. 

Café Jerusalem di Paola Caridi, che ho visto oggi al teatro Duse di Genova con una grandissima Carla Peirolero, Pino Petruzzelli (che è anche il regista) e le splendide musiche dal vivo dei Radiodervish, sin dalle prime battute mi ha trasportata a Gerusalemme, una città che ho visitato, amato e mai dimenticherò.
In un attimo ho rivisto la città vecchia, le strade, i quartieri, i checkpoints, il muro del pianto. Ho annusato l'incenso dei riti Ortodossi.
Da Genova mi sono immediatamente ritrovata alle porte di Jaffa, Damasco, Sion, Dei Leoni. Ho risentito le voci, ho percepito, quando si parlava di un muro, le fredde pietre antiche delle strade e delle case, pietre insanguinate e segnate dal dolore di popolazioni infelici e diffidenti, separate e dilaniate dai loro assurdi Credo.
Sono entrata nella basilica del Santo Sepolcro, sono passata dalla bassa porta dei Copti e ho immaginato, una volta di più, le scarpe dei milioni e milioni e milioni di piedi che da millenni varcano la soglia della basilica consumandone i marmi bianchi, fino ad assottigliarli ed incurvarli.
Ho sentito le litanie e le preghiere dei culti cristiani che dividono a fette un Simbolo, frenato ad ogni mossa dal rigido Status Quo che regola i rapporti, le attività, i movimenti che si svolgono nelle basiliche dove la proprietà è comune a più confessioni cristiane. 
Attraverso il racconto dell'amore impossibile tra Nura e Moshe mi è arrivato dritto al cuore il dolore di una città divisa dagli uomini, dalla politica, dalle incomprensioni ataviche, dall’odio, dai soprusi e dall’ignoranza ottusa, quella che non pone domande e non chiede all'altro: chi sei veramente? Chi ami? Cosa sogni? In quale mondo vorresti vivere?
Ho camminato per il mercato e mi sono spostata tra i mille saliscendi di strade e vicoli per far passare i carretti frettolosi degli ambulanti. Ho bevuto caffè al cardamomo e succhi di melograno in un insieme tragico, stridente e dolcissimo di dolore e bellezza. 

Penso che uno spettacolo così debba essere rappresentato nelle scuole e fatto conoscere a chi, del conflitto arabo-israeliano, ha solo sentito parlare nei telegiornali senza capirci granchè, ma nonostante ciò annega nei pregiudizi e nei luoghi comuni.

Grazie a Carla Peirolero e a tutti i protagonisti di Cafè Jerusalem per il viaggio e i pensieri profondi che mi avete regalato.





















Alle donne vittime di mariti violenti posso solo dire: SALVATEVI!

Penso che ogni giorno dell'anno dovremmo ricordare le donne che subiscono violenza. Da figlia di una donna che di botte ne ha ...