fotografia di Marco Click Ferrando |
La forza del
vento stravolge il paesaggio.
Cambia le persone.
Cappotto,
cappuccio, stivali, spruzzi di sale sul viso.
Mani
gelate. Cuore caldo. Respiro in affanno. Vene che pulsano. Sangue che scorre in arterie
sfilacciate e contorte come percorsi di vita.
Procedo controvento in una solitudine irreale.
E' l'ora dei ricordi. Lascio che le immagini arrivino. Le accolgo. A colori o in bianco e nero, non importa. Non filtro. Non elaboro. Non penso.
Il mare
sfacciato mi bagna le labbra, un vortice inatteso mi ruba la sciarpa.
Fortunale
di corpi, anime, tronchi d'albero e copertoni.
Tempesta di Natale.
Nel tempo dei
bilanci la mente esonda per le troppe burrasche.
Un passo dopo l'altro riaffiorano i volti ritrovati e persi
Amici dimenticati.
Amori accennati, altri fraintesi.
Poche le cartoline: la fredda
notte dei miei 12 anni, con mio fratello addormentato sul
passeggino e la nebbia che si tagliava col coltello;
le montagne dei miei zii coperte di neve nelle feste di famiglia;
il funerale di
mio padre in un grigio mattino di gennaio quando la terra, coperta di brina bianca, per solidarietà col mio dolore si era fatta così
dura da sfiancare i becchini nello scavare la fossa.
Il mare
inquieto di dicembre è ansia spazio-temporale.
Le barche sono
in allarme ma restano lì, sulla battigia, a scrutare l'orizzonte come
marinai in congedo, riluttanti all'idea di dover riprendere il largo.
Il vento del nord mi parla di un abete pieno di luci e del presepe innevato di mia
madre - sublime regina dei contrasti - con bianchi minareti d'oriente e
laghetti di stagnola dove danzavano minuscole ochette di
plastica.
E' tardi. Torno a casa.
La notte, come me, digrigna i denti prima di affrontare, al buio, il rumore sinistro del
vento.
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